Il cambiamento climatico è uno dei quattro temi fondamentali su cui il Dolomiti Paganella Future Lab vuole interrogarsi. Più di questo però è una sfida inevitabile che tutti noi ci troveremo ad affrontare negli anni a venire.

L’immensità del problema è così grande che può essere scoraggiante persino concettualizzare un piano per il futuro, che ci sembra comunque lontano. Ma non fare nulla è sempre più rischioso, considerando il rapporto speciale che il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (IPCC) ha pubblicato nel 2018, in cui si afferma che il mondo ha poco più di un decennio per evitare che il riscaldamento globale cresca di 1,5 ° C rispetto ai livelli preindustriali, oltre il quale il rischio di alluvioni, siccità e caldo estremo peggiorerà in modo significativo.

Gestire il cambiamento climatico è quindi una questione di sopravvivenza e le giuste decisioni strategiche vanno prese fin da ora.

Questo è specialmente vero per la nostra destinazione, che per tanti anni e tutt’ora deriva parte del guadagno economico del settore turistico dall’attività sciistica durante i mesi invernali. I dati, riuniti da Jakko Järvensivu in un articolo di approfondimento pubblicato nel 2018, parlano però chiaro. Secondo studi recenti infatti, se le cose continuano così le Alpi potrebbero perdere il 70% della copertura nevosa entro il 2100.

Il climatologo Robert Steiger ha stimato che in uno scenario in cui le emissioni continuano a crescere allo stesso livello di adesso, solo il 50% delle aree sciistiche sulle Alpi Tirolesi garantirà neve sicura nel 2070 (con neve sicura si intende una stagione sciistica continuativa di almeno 100 giorni, con almeno 30 cm di neve, almeno 7 anni su 10).

Se negli anni Novanta l’altitudine minima per garantire neve era di 1200 metri sul livello del mare, questa si è già innalzata a 1500 metri e, se non abbassiamo velocemente e significativamente le nostre emissioni di CO2 è stimato che le stazioni sciistiche sotto i 2000 metri difficilmente riusciranno a continuare a operare.

E non è solo la mancanza di neve naturale a mettere a rischio tantissime aree sciistiche: anche la produzione di neve programmata diventerà sempre più difficile. Si stima che se la temperatura mondiale dovesse crescere di due gradi, l’altitudine minima necessaria per produrre neve con i cannoni passerà da 1000 a 1600 metri.

Le simulazioni climatiche indicano che il riscaldamento continuerà fino agli anni 2040-50 indipendentemente dalle azioni intraprese, ma le decisioni che prendiamo ora hanno ancora un grande impatto sull’ultima parte del secolo.

Se, ad esempio, il riscaldamento globale potesse essere contenuto nell’ambito dell’obiettivo di due gradi fissato dalla Convenzione sul Clima di Parigi, si perderebbe solo il 30% della copertura nevosa nelle Alpi, con il 60% delle località sciistiche che continuerebbero a garantire la presenza di neve (confrontato con il 70% di perdita della copertura nevosa e il 30% delle aree sciistiche con garanzia di neve previsti agli attuali livelli di emissione. – fonte).

Raggiungere tale obiettivo non sarà facile e richiederà nuovi modi di pensare e decisioni difficili a livello politico. In una prospettiva più ampia, anche le scelte fatte dalle aziende e dai visitatori avranno un effetto.

A questo proposito, i visitatori stessi mostrano sempre maggiore sensibilità nei confronti dell’impatto ambientale quando viaggiano. Una recente indagine di Booking.com rivela che quasi tre quarti (72%) dei viaggiatori crede che le persone debbano agire subito e fare scelte di viaggio sostenibili per salvare il pianeta per le generazioni future.

soggiorni sostenibili stanno crescendo in popolarità, con il 73% dei viaggiatori globali (un dato in costante crescita negli ultimi quattro anni) che intende soggiornare almeno una volta in una sistemazione ecologica il prossimo anno.

Anche per gli spostamenti all’interno della destinazione i visitatori preferiscono mezzi green. Una recente indagine sul turismo sostenibile da parte della Fondazione Dolomiti UNESCO ha rilevato che, se da una parte l’82% dei turisti/visitatori ha raggiunto le Dolomiti con l’auto privata (si stima che il 75% delle emissioni generate da un’area sciistica sia prodotto dal trasporto verso la destinazione: trovare nuovi modi di viaggiare è sicuramente una delle sfide maggiori da affrontare), una volta raggiunta la località̀ del soggiorno, questi prediligono gli spostamenti con mezzi alternativi come bicicletta e bus navette. (La Fondazione sta proseguendo la raccolta dati intervistando ora residenti e operatori economici: tutti noi possiamo partecipare all’indagine qui)

Il ruolo del turismo è forse paradossale: quando si parla di cambiamento climatico è sicuramente parte del problema, (l’8% delle emissioni mondiali di gas serra sono responsabilità del settore turistico), ma proprio per questo può diventare parte della soluzione.

Le simulazioni climatiche mostrano che, secondo gli scenari più ad oggi più probabili, saremo costretti ad adattarci, trovando modi alternativi per attirare visitatori nella stagione invernale e sviluppando offerte di turismo estivo che compensino le più brevi stagioni sciistiche.

Sul nostro altopiano possiamo vantare già un primo caso di successo nello sviluppo del prodotto Dolomiti Paganella Bike, che ha permesso l’allungamento della stagione estiva da aprile a ottobre e registra ogni anno un aumento importante di fruitori (con il conseguente aumento dell’offerta per chi ama camminare in montagna e frequentare i rifugi).

Eventi come il Festival Orme e la campagna Ambassador guardano invece al segmento di visitatori che sempre di più apprezza l’idea di slow travel, dove creare connessioni con i luoghi, le tradizioni e le persone diventa l’obiettivo primario del viaggio.

Allo stesso tempo le strutture ricettive sono chiamate a rispondere alla richiesta dei visitatori di soggiorni e strutture green, dove l’impatto ambientale è minimizzato il più possibile.

Altre soluzioni ci vengono suggerite, come nel caso del turismo in equilibrio, da altre destinazioni turistiche. Copenaghen ha riconosciuto come la sostenibilità ambientale caratterizzi già lo stile di vita dei suoi cittadini: vivere in maniera sostenibile quando si visita la città equivale quindi a vivere ‘like a local‘.

Visit Flanders ha voluto affrontare apertamente il conflitto tra quelli che sembrano interessi opposti, quelli delle imprese turistiche e la responsabilità verso l’ambiente, chiedendosi se il turismo non possa creare più valore con un minor numero di turisti.

I dati e le simulazioni parlano chiaro: negare il cambiamento climatico e il modo in cui impatterà le nostre abitudini, il nostro stile di vita e il modo di viaggiare è un atteggiamento irresponsabile. La sfida è enorme, ma è importante accettarla e iniziare sin da ora a decidere come incorporare l’inevitabile crisi climatica nella nostra strategia turistica e nel nostro modo di vivere.